venerdì 10 giugno 2011

Daniela Rindi presenta "Almeno mi racconto"



E’ con piacere, non senza una certa difficoltà, che mi accingo a recensire una raccolta di racconti. Difficile perché è la prima volta, e sbrogliarmela in tante situazioni sciorinate con fulgida disinvoltura sembra un’impresa improba. Per cui mi lascerò guidare, come sempre, dal mio  istinto. Che Daniela Rindi sia una scrittrice, è un dato di fatto. Laddove scrivere vuol dire possedere uin bagaglio linguistico e un’ attitudine alla narrazione che ormai diventa sempre più rara in un popolo di poeti, santi e navigatori. Oggi tutti scrivono, e vivaddio, tutti pubblicano. Per disavventura, pochi si fanno leggere .
 In “Almeno mi racconto”,edito da” Il Foglio letterario”,è’ evidente il riferimento autobiografico che si imprime fortissimo in ogni pagina . E sul quale vorrei soffermarmi. , perché proprio da questo carattere che partono alcune considerazioni. Elisa, la protagonista di episodi cosi apparentemente distanti tra loro e imbevuti di una sana schizofrenia, sembra che nuoti in un mare di possibilità, un mare ora infido, ora rassicurante, pronto a cullarti, ma talora pronto a ingoiarti nei suoi profondi abissi. Una donna alle prese con il quotidiano, nella quale molte di noi possono ritrovarsi, e condividere il male e il bene di vivere. Il senso dell’ironia, che deve per forza accompagnare il tutto femminile istinto di conservazione, affonda costantemente le sue lunghe e possenti braccia in molti passi dei racconti, dove tuttavia non mancano momenti drammatici e di riflessione.
Elisa è alla ricerca di un qualcosa, chiamarlo  equilibrio, chiamarlo  percorso., non ha importanza. La meta è la stessa.  Quell’equilibrio, quel percorso, io lo chiamerei “Romanzo”.
Già, perché se ne sente la mancanza. I vorticosi e travolgenti accadimenti sono legati da un filo sottile che  solo per poco non è diventato, chissà per quali impenetrabili ragioni, una trama vigorosa e ininterrotta, un “tutt’uno” che tenga il lettore sospeso e che lo sollevi  infine dentro un catartico compimento.
Roberta Angeloni





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